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LES AMIS Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 29 marzo 1974
 
di Gérard Blain, con Philippe March, Yann Favre, Jean-Claude Dauphin (Francia, 1971)
 

Gérard Blain, che è stato uno degli attori più noti del cinema francese agli inizi della "nouvelle vague" negli anni cinquanta, è passato alla regia con questo film. E ha scelto, cosa rara in un cineasta dei giorni nostri, rarissima in un esordiente, la strada più difficile. Quella che domanda al linguaggio di significare un'idea.


Il soggetto, la sceneggiatura di un film di Blain (l'amicizia di un adolescente per un uomo maturo qui, un padre al quale impediscono di stare con il figlio nel successivo LE PELICAN girato parzialmente nel luganese l'anno scorso) sono una cosa estremamente esile, un abbozzo di una situazione semplice, pochi dialoghi e pochi personaggi, pochi avvenimenti. Ed è al momento della trasformazione in immagini di queste vicende elementari che le opere di Blain prendono corpo, si dimensionano, assumono tutto il loro significato: fino a trascendere, come deve succedere in ogni opera d'arte, l'aspetto quotidiano dell'aneddoto.


Un procedimento del genere esige una grande severità verso se stessi, un controllo incessante delle proprie emozioni e di come queste emozioni vengono trascritte sullo schermo. Come in Bresson, o in Visconti (anche se con una volontà di astrazione dalla realtà minore che nel primo, ed un'estetica meno aristocraticamente raffinata che nel secondo) il cinema di Blain nasce da un continuo processo di epurazione formale. Il rettangolo dello schermo è una dimensione ideale perfetta, verso la quale il regista tende costantemente, cancellando le forme superflue, e così naturalmente anche i suoni, i colori, il carattere della recitazione degli attori.


Il pericolo di una simile ricerca di purezza formale è di cadere nel gioco intellettuale e fine a se stesso, nel rifiuto della vita per un'eccessiva ricerca dell'assoluto. Ma Blain è, forse al contrario di quel che cerca di rendere i propri film, un artista di sensibilità


fremente quanto contenuta, di un pudore espressivo raro. Ed il fascino delle sue opere nasce proprio dal contrasto fra questa sensibilità quasi romantica e una ricerca formale che si vuole il più possibile intransigente.


Ma al di là di queste constatazioni sulla struttura dell'ispirazione del regista, quello che proietta un film come LES AMIS oltre il puro valore della sensibilità espressiva, è il legame costante che esiste fra questa realtà strutturale e la realtà pura e semplice del nostro mondo. Lungi dall'essere soltanto un elegante discorso sentimentale, è dal contrasto fra gli sfondi sui quali evolve la vicenda, come dire sull'arte dell'ambientazione, che nascono i veri significati dell'opera. Così, dall'evidente contrasto sociale esistente fra il mondo del giovane e quello dell'amico più maturo, LES AMIS si fa assai più che descrizione, pudica e sensibile, dei problemi di un adolescente, in bilico fra un'eventuale omo o eterosessuale vocazione. La fuga, o il desiderio di fuga di Paul, è l'insopprimibile necessità per l'individuo di evadere dalla mediocrità, dall'ipocrisia, da quella ambigua sicurezza sociale che gli "altri" ricercano, e che il protagonista fugge sempre meno incoscientemente.


La ricerca di un autonomia morale in un mondo ben definito: in questo senso Blain sembra aver appreso la grande lezione di Bresson. Riconducendola, ben viva e presente, sulla terra.


   Il film in Internet (Google)

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